Quando in treno incontri i bimbi: ecco perché non temo (più) caos e canzoncine
Ludovico, anni 6. Guendalina, anni 4. Federica, mesi più o meno tre.
Ho cambiato i nomi, ma questi sono i miei tre vicini di posto su un Milano-Roma senza fermate intermedie.
Lo specifico il fatto delle fermate, perché non posso illudermi che il girone dantesco possa aver fine, che ne so, a Bologna, o alla peggio a Firenze. A me piacciono loro tre, la più piccola mangia e dorme, gli altri due parlano ininterrottamente, proprio come mia figlia. Sono solita dire che noi mamme siamo “isolate acusticamente”, ormai non ci lasciamo turbare da alcun rumore superiore ai 60 decibel, cioè al suono di una voce che non grida.
Ma si sa che i bambini non sanno ancora modulare il tono. Io sto bene dicevo, ma il mio vicino no. Lui, elegante, manager probabilmente, scrive al computer e sbuffa come una pentola a pressione. Lui non è “insonorizzato”, è evidente. Le creature sono in viaggio con la nonna e la tata. Da Milano a Piacenza hanno già ingurgitato un quantitativo di caramelle e patatine al di là della legge, bevono succhi dal colore improbabile, hanno sparso fogli e matite su ogni superficie piana nel raggio di quattro metri.
La nonna, che ha la massima stima mia e credo anche di tutte le altre madri del mondo, affronta questo viaggio con una calma olimpica. Metà dei passeggeri di questa carrozza vorrebbe cambiare posto, lo leggo nei loro sguardi. Ci si mettono pure le Ferrovie, quando distribuiscono bevande nel bicchiere. Il liquido tremolante e instabile lo sappiamo tutti, si rovescerà sul computer del manager prima di Bologna. Ovviamente Ludovico dondola i piedini e mi prende a calci, ma io sono impassibile, ci sono abituata.
Nella carrozza intanto gli altri contribuiscono con suonerie altissime e parlando tutti insieme ad alta voce al telefono. È il delirio. Ne approfitto per scrivere un po’, di quando una cosa del genere mi avrebbe fatta impazzire. Dov’è finita la donna che ero, quella che avrebbe cambiato posto? Ho letto di ristoranti e compagnie aeree childfree. Ne capisco le intenzioni, i bambini sono bambini, non hanno interruttori e per chi non è abituato è difficilissimo tollerare il caos.
Ho imparato a isolarmi dal rumore, ma comprendo anche chi non è capace a farlo. La tata ci guarda con gli occhi del dolore, ma il manager esplode comunque a Firenze. È implacabile. Succede quando i due fratellini più grandi cantano le canzoncine. Non ce la fa, la musica dell’infanzia non è per tutti (cantano “testa spalle gambe e pieeee’”, so che volevate saperlo). Poi cala un silenzio imbarazzante e io come Roger Rabbit, vorrei alzarmi e cantare con loro: “occhi, orecchie, bocca ed il nasin”. Ma resto seduta e non so più chi abbia ragione.
A Roma aiuto Ludovico a scendere dal treno e gli riporto un robottino che nel marasma era rimasto abbandonato. Lui mi ringrazia, io mi allontano e lui parla, parla, parla ancora.
[riding on a train think of you again]